Dottoressa Gabaglio, nella prefazione del suo libro dice che prima del 2020 eravamo un po’ come bambini viziati, ignari della fortuna che ci è capitata in sorte. Perché?
La mia generazione, i cinquantenni, non ha vissuto gravi conseguenze per malattie infettive o per epidemie grazie alle campagne di vaccinazione che ci sono state in Europa a partire degli anni Cinquanta e Sessanta. Grazie alle vaccinazioni, non abbiamo subito gli effetti gravi e fortemente impattanti che hanno invece subito i nostri genitori e i nostri nonni con l’influenza spagnola, con l’influenza del ’56, con la poliomielite o con il colera. Gli unici ricordi che forse abbiamo. Contemporaneamente siamo stati abituati a vivere in un mondo dove la medicina ha una risposta per praticamente quasi tutto. Se abbiamo un malanno, abbiamo quasi sempre una diagnosi e un farmaco da prendere. Non sempre si può guarire, ma in ogni caso si viene curati e in molti casi se non si può guarire, quanto meno si cronicizza. Il mix tra la disponibilità di vaccini e di farmaci e la conoscenza del corpo umano e delle patologie ci ha consentito di essere dei viziati, cioè di pensare che qualsiasi cosa accadesse noi potevamo avere una risposta. Nel 2020 abbiamo scoperto che non è così. I primi mesi della pandemia ci hanno trovati completamente scoperti, non conoscevamo questo virus, non avevamo alcun farmaco per curarlo. Per noi, è come aver avuto un brusco risveglio da un sonno tranquillo. E solo una volta svegli abbiamo compreso la fortuna di cui godevamo prima.
Il problema è quindi che avevamo perso la memoria storica delle epidemie del passato?
Proprio così, siamo di fronte a un’epidemia, ma è solo un’ennesima epidemia, ce ne sono state tante nel passato, e gli umani hanno sempre trovato maniera per venirne fuori. Dal passato possiamo imparare che ci sono alcune regole che valgono sempre.
Quali sono queste regole, che cosa avremmo dovuto tenere presente fin dall’inizio?
Ci sono delle regole di comportamento che valgono sempre in assenza di altri strumenti di difesa: il distanziamento fisico, l’igiene, la salubrità dei locali. Questo valeva ai tempi della peste del Manzoni e vale ancora oggi in eguale misura.
Dalle epidemie più recenti, dalla scienza e della ricerca avremmo invece dovuto imparare che viviamo in un ambiente fortemente in interconnessione con tutte le altre specie e che ciò che facciamo noi umani non è indifferente, le nostre azioni hanno delle conseguenze. L’avvicinarsi sempre più prossimo a causa della deforestazione, della sempre maggiore urbanizzazione, rubando spazio alle altre specie ci mette a contatto con altri virus, batteri, funghi, con patogeni che hanno trovato il sistema per vivere in equilibrio con altre specie ma che per noi invece sono sconosciuti. Quando noi entriamo in contatto con questi patogeni il nostro sistema immunitario va in allarme, e ci sono le epidemie. Dobbiamo avere ben chiaro che le epidemie non sono imprevedibili, anche questa epidemia era ampiamente prevista.
Non potevamo sapere che sarebbe iniziata alla fine del 2019, ma ci sono tanti scienziati acclamati in tutto il mondo che da anni avvertivano del rischio dello ‘spillover’, del salto di specie di uno di quei patogeni da un’altra specie a noi. È accaduto e continuerà ad accadere. A questo dovremmo prestare maggiore attenzione.
Nel suo libro lei parla anche dei NoVax: fallimento della scuola, della scienza, fenomeno antropologico? Eppure ce ne sono parecchi anche tra il personale sanitario, come si spiega?
Il movimento NoVax ha una radice storica. Nasce esattamente quando nascono le vaccinazioni. Non è fenomeno recente, non è legato a internet. È connesso a due problematiche: la natura del vaccino e la fiducia nel sistema. Il vaccino è farmaco sui generis, nel senso che non è una sostanza che noi prendiamo quando stiamo male. Ci vacciniamo quando siamo sani, e dobbiamo accettare di fare un’azione in previsione della possibilità di stare male. È evidente che questo suscita delle paure e sollecita le nostre capacità di previsione. È un farmaco di cui non sentiamo l’urgenza, che non risponde a una necessità di uscire da una situazione difficile. Richiede la nostra fiducia per fare un’azione sul corpo in previsione di qualcosa che potrebbe capitarci dopo. E tutti abbiamo una tendenza innata a preservare l’integrità del corpo. Il vero problema è che un vaccino richiede fiducia. Una fiducia nel sistema: nel mio medico, nell’ospedale che mi ha in cura, nel sistema sanitario, nel potere politico regionale, nazionale, sovranazionale.
Studi antropologici e sociologici dell’Organizzazione mondiale della Sanità evidenziano che le persone contrarie ai vaccini hanno in generale un livello di istruzione medio alto, non usano molti farmaci, sono vegetariane o vegane, tengono in molta considerazione i problemi ambientali. Hanno in qualche modo sfiducia nel sistema, e la sfiducia nelle vaccinazioni fa parte del pacchetto.
Per questo l’OMS dice che più che dimostrare con studi che i vaccini sono sicuri, non fanno male, e fare debunking delle bufale sugli effetti dei vaccini, la cosa migliore è agire lateralmente cercando di aumentare la fiducia nella cosa pubblica, cosa che sappiamo è veramente difficile. Quindi è chiaro che quota parte di contrari ai vaccini è fisiologica. Per quanto riguarda gli operatori sanitari che rifiutano i vaccini possiamo dire che chi lavora nella scienza non è necessariamente gente di scienza.